Museo Ettore Fico
Lo dico subito: è un museo eccezionale!
Colpevolmente ho rimandato a lungo e finalmente ho avuto l'occasione di conoscere questa splendida realtà torinese che chi ama l'arte contemporanea non può non visitare.
Come sempre si tratta di suggestioni, emozioni del tutto personali, riflessioni scaturite dalla fruizione delle opere e dalla lettura delle didascalie ad esse collegate che ritengo particolarmente curate e, cosa non così scontata, significative.
l'idea, la misura, il pathos
Le espressioni
artistiche non sono determinate esclusivamente da un'immagine
riconducibile a ciò che è conosciuto. La figura umana, gli oggetti,
il paesaggio per alcuni artisti non sono sufficienti. Nel
Rinascimento, per esprimere la bellezza divina e la sua trascendenza,
l'azzurro del cielo era stato sostituito con un monocromo rilucente
realizzato con la foglia d'oro. Kandinski sostituisce la descrizione
della realtà con rapide pennellate la cui forma corrisponde più a
bacilli e virus che a oggetti. Mark Rothko sublima nei monocromi
della cappella di Houston l'immane metafisicità dell'ultraterreno,
dell'assoluto e dell'estasi. Fontana introduce segni gestuali,
pennellate improvvise, colori materici, buchi e tagli nelle tele e
nelle sculture per descriverci lo spazio che va oltre il visibile e
per parlarci anche di mondi intimi, interni, sofferenti o gioiosi,
immersi nella contemplazione. L'immensa sinfonia che ne deriva è
composta da frammenti musicali visivi che descrivono la dolorosa, ma
anche eccitata, esistenza dell'uomo e il suo pensiero raffinato,
concettuale, estetizzante, rigoroso, sublime e vivo. "
In quest'opera quello che mi ha colpito è stata la danza fra pieni e vuoti, fra spazi densi di significato e respiri lenti in cui l'occhio riposa sui colori pastello. Ma proprio di danza si parla perché dopo essersi riposati in qualche punto leggero al centro dell'opera, si viene risucchiati nuovamente verso zone profonde, tratti nervosi, incisioni e salti improvvisi. E alla fine ci si allontana, stanchi e contenti.
Piranesi, un mio grande amore. Queste carceri che sono l'ambientazione ideale delle storie di Terry Gilliam e dei racconti Steampunk. Che sono insieme fabbriche dismesse, romanticismo macabro, escape room e Khazad-dûm (Moria) cioè le miniere costruite dai nani nel Signore degli Anelli di Tolkien.
Questo scrive il curatore del museo:
" Giovan Battista Piranesi (1720-1778) Carceri d'invenzione - La torre rotonda, 1745/50 acquaforte su carta
Le incisioni di Piranesi, segnate da un registro e una graficadrammatici, appaiono improntate a un'idea di dignità e di magnificenza espressa attraverso la grandiosità e l'isolamento degli elementi architettonici, in modo da pervenire a un sublime sentimento di grandezza del passato antico, pur segnato da un inesorabile abbandono. L'eclettismo delle sue opere e la versatilità del suo estro creativo rendono Piranesi un artista difficilmente inseribile all'interno di una schematicità dettata da una suddivisione in stili o correnti artistiche. Personalità dalla duplice matrice culturale, veneziana e romana, Piranesi presenta una fisionomia artistica assai complessa.
La sua arte ha radici nella tradizione del Rococò che si configurano come invenzioni capricciose (come si legge nel frontespizio delle Carcen): con questa denominazione squisitamente rococò, infatti, Piranesi voleva indicare il carattere immaginoso e inconsueto delle proprie creazioni. Fra il 1745 ed il 1750 Giovanni Battista Piranesi lavora a una serie di tavole raffiguranti ambienti senza eguali: fortemente drammatici, frutto di eccitata fantasia unita a una attenta conoscenza della forma e della fabbrica architettonica, questi lavori raffigurano ciò che Piranesi chiama Invenzioni capric[ciose] di carceri.
Sono visioni arditissime, eppure composte nel loro rigore architettonico: scaturite dal suo genio visionario e modellate su solide nozioni di prospettiva e costruzioni tridimensionali. L'esaltazione della bellezza tipica dei vedutisti (Canaletto e Panini), dell'eleganza, del gusto, trovano per certi versi l'opposto nelle Carceri di Piranesi, dove dominano il forte senso di disagio, solitudine, silenzio, inquietudine e repulsione.
Sale infinite, volte distanti, spazi immensi e tuttavia claustrofobici, inibitori, in cui la ripetizione infinita di varchi, spazi e scalini, l'intrico dei volumi, il dedalo, richiamano una prigione psicologica quasi più che fisica.
Il carcere, quale luogo da cui non si può fuggire, non è reso tanto da mura, inferriate e catene: tutti questi elementi nella tavole di Piranesi ci sono, e pure massicci, ma paradossalmente non costituiscono una chiusura, un ostacolo alla libertà. Al contrario, le catene si trovano casualmente sparpagliate in ogni dove, i muri hanno mille aperture e le inferriate sono più di decorazione che altro. La vera impossibilità di scappare, di uscire dalle Carceri, è data dalla loro essenza labirintica, dall'incrocio di scale che non conducono in alcun posto, dal dissolversi nel buio (o nell'aria) di ogni fuga. "
"Antonio Marras
Renatorenatocosicarinocosieducato, 2015 stoffe cucite e ricamo
cm 133 x 122
donazione Alpegiani
Stilista affermato a livello internazionale, Antonio Marras si distingue per le sue creazioni originali che mescolano cultura sarda, fatta di materiali semplici e tradizionali, a elaborazioni personali.
Da alcuni anni sperimenta un linguaggio artistico autonomo, caratterizzato dall'impiego di materiali di recupero, stoffe e oggetti carichi di storia segnati dai temi del ricordo e della transitorietà.
Un assemblage di tessuti su cui emergono scritte e disegni è Renatorenatocosicarinocosieducato, appositamente realizzato per la donazione di Renato Alpegiani. Il titolo gioca ironicamente con il nome del collezionista e con il ricordo della famosa canzone Renato Renato (1962) portata alla ribalta da Mina ed entrata nella tradizione della musica leggera italiana."
Poi è stata la volta di questo collettivo. La Russia, che grande spazio occupa in questo periodo storico, ha avuto sempre grande presa su di me, a partire dagli esami di filosofia teoretica sugli autori russi, da Dostoevskij a Leont'ev a Solov'ev, all'eterna diatriba sulla grande Russia.
Qui ci si interroga sul passato e sul presente della Russia e non solo, a partire dal "Che fare?"
Il curatore scrive:
"Chto Delat (anno di fondazione 2003) Senza titolo, 2018 stoffe e ricami cm 185 x 242 collezione AB-MEF
Chto Delat? (Che cosa si deve fare?) ora noto come Chto
Delat, è un collettivo di artisti, critici, filosofi e scrittori. Il
suo nome si riferisce al romanzo di Nikolai Chernyshevsky Chto Delat?
e all'opuscolo di Vladimir Lenin con lo stesso titolo. Il collettivo
è stato fondato nel 2003 a San Pietroburgo, in Russia, dove tuttora
ha sede.
Chto Delat promuove l'integrazione e la fusione tra
arte, attivismo e teoria politica. Le attività del collettivo
includono l'educazione del pubblico sulla condizione post-socialista
e l'attenzione alla commemorazione e all'educazione del passato
perduto o represso dell'Unione Sovietica. La pratica di Chto Delat è
al crocevia fra teatro, video, trasmissioni, murales, installazioni,
campagne pubbliche e seminari.
L'opera qui esposta fa parte di
una serie prodotta in Italia al momento di una loro mostra personale
a Roma (Come in quickly, otherwise l'am afraid of my happiness! Xenia
at the time of war, 2018 - Entra presto, altrimenti ho paura della
mia felicità! Xenia al tempi della guerra, 2018) che riprendeva
frasi banali della quotidianità. In questo caso, lo striscione
ricamato diventa uno slogan alquanto incomprensibile e minaccioso:
<<Di sicuro avrete fame. Nel bagno ci sono ogni sorta di
detergenti. Usateli>>!
Infine una grande domanda che pochi politici si pongono. L'opera, di per sè, una foto..., non mi ha colpito particolarmente, ma l'apparato critico ha spiegato e ha "colmato le lacune".
"Scultura sociale Rossella Biscotti (1978)
Dalla stazione Marittima al Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, Napoli, 2010 2 fotografie a colori, cm 50 x
70 ciascuna, mattone in ottone, cm 10 x 5 x 21 donazione
Alpegiani
Premio Ettore e Ines Fico 2010
Il mattone,
complemento architettonico per eccellenza, è anche una delle forme
primarie della geometria, un parallelepipedo. Questo "cromosoma"
sta alla base della nostra storia architettonica fin dall'epoca
romana, l'elemento basilare per l'edificazione di una società
civile, stanziale e quindi storicizzata. La storia e la sua
registrazione restano gli elementi fondanti per la trasmissione
dell'esistenza e della vita degli esseri umani. Gli edifici, come i
musei, sono costituiti da elementi frammentati come di frammenti è
fatta la storia. Il mattone diventa quindi DNA di un edificio e il
suo utilizzo è ancor più simbolico quando si percorre una città
come Napoli, ostaggio di grandi abusi edilizi. Quello stesso mattone
potrebbe essere lanciato per protesta contro la cementificazione
selvaggia, contro l'abusivismo edilizio delle coste, contro l'incuria
cittadina degli edifici e dei monumenti storici.
Spesso si
accusa la politica dei molti sbagli perpetrati contro il territorio,
ma altrettanto spesso i cittadini stessi perpetrano abusi
territoriali costruendo sui greti dei fiumi, nei canaloni montani o
sulla battigia delle coste marine. "Il ragazzo col mattone"
visita una città in un percorso preordinato, egli intraprende un
viaggio da e verso un preciso punto. Il suo è anche il viaggio
simbolico del portare un peso, un fardello: quello dell'esistenza."
Spero che questo viaggio, forse un po' troppo lungo rispetto ai miei standard, vi sia piaciuto.
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